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          Grano e pane

Semi di grano Pisatura del grano con animali

    Il grano

Il frumento, più comunemente conosciuto come grano , è il cereale di più antica coltivazione (5.000 anni). Appartiene al genere Triticum (famiglia delle Graminacee), che comprende il Triticum turgidum (grano duro), il Triticum aestivum (grano tenero), T. monococcum monococcum  ( piccolo farro ).

Il frutto del frumento, chiamato cariosside, è interamente ricoperto da un pericarpo fibroso; si tratta di un involucro esterno, costituito da più strati di cellule ricche in cellulosa e sali minerali, che, dopo il processo molitorio, va a costituire la crusca.

Dalla coltivazione del grano si ottiene anche la paglia, impiegata per le lettiere dei bovini nelle stalle e per la fabbricazione della carta, e la crusca utilizzata come alimento per gli animali.

Il grano duro e il grano tenero sono utilizzati per l'alimentazione umana. Il grano duro contiene più proteine di quello tenero. Dal grano duro si producono semole e semolati dai granuli grossi con spigoli netti, mentre dal grano tenero si ottengono farine dai granuli sottili e tondeggianti.

Il frumento è ricco di carboidrati (mediamente, il 72%), costituiti per la maggior parte da amido.
Il contenuto in proteine è piuttosto variabile, dal 7 al 18% (mediamente il 12%), la maggior parte delle quali sono prolammine, costituenti fondamentali del glutine che si forma durante l'impastamento conferendo all'impasto viscosità, elasticità e coesione, caratteristiche importanti nella produzione di pane e pasta. I lipidi ammontano all'1-2% e sono contenuti soprattutto nel germe, dal quale si ricava un olio ricco di acidi polinsaturi, soprattutto linoleico. I sali minerali e le vitamine sono localizzate nella parte esterna del chicco, quindi li ritroviamo solo nei prodotti integrali, ottenuti con l'aggiunta di crusca.

Origine. Il frumento fu tra le prime piante ad essere coltivate. Il centro della sua domesticazione è stato identificato dagli archeologi in diverse località  dell'ampia area che dai rilievi iraniani e dalle montagne dell'Anatolia raggiunge la costa della Palestina, comprendendo la valle del Tigri e dell'Eufrate, il frumento, nelle condizioni climatiche di tali zone, spinse i primi coltivatori a realizzare reti di canali per estendere la coltura, le prime città difese da mura per tutelare il raccolto nel corso dell'anno, ad organizzare eserciti per difendere dai nomadi il territorio irrigato dai canali faticosamente realizzate. Il frumento ha costretto, in questi termini, l'uomo a organizzare la società civile.

L'assicurare alla città di Roma il regolare approvvigionamento del grano divenne il cardine della politica dell'impero romano. Il frumento rientrava nelle abitudini alimentari della plebe romana, a differenza dei Siciliani, consumatori di hordeum (orzo) sulla base della tradizionale agronomia greca. Le abitudini della plebs romana indussero a promulgare la legge Terenzia Cassia volta a reperire frumento di buona qualità.

Di conseguenza in Sicilia furono abbattuti interi boschi di leccio ed altre colture furono abbandonate per dare posto alla coltivazione del grano, divenendo così "il granaio dell'impero".

Nel corso dei secoli la coltivazione del grano in Sicilia ha avuto alterne vicende correlate alle varie invasioni straniere. Ad esempio durante le guerre napoleoniche ha subito un forte incremento a cui ha fatto seguito un calo produttivo storico, legato ad un eccessivo sfruttamento dei terreni, sottoposti a risemina per oltre un decennio. Ciò determinò uno spropositato aumento del prezzo del pane: intorno al 1820, a fronte di una paga giornaliera di 5 tarì per un muratore, un rotolo di pane (pari a circa 800 gr.) costava un tarì e 8 grani (1/20° di tarì). Il pane divenuto cibo di lusso ha comportato un cambiamento radicale sul nutrimento del popolo, basato su fave, ficodindia, patata e soprattutto su mais,chiamato talvolta "grano siciliano".

Nell'ultimo ventennio la superficie a grano duro è oscillata tra ha. 48.000 (1990) e ha. 30.000 (2000), pari al 12 e il 9% della superficie regionale; la produzione è oscillata da q 1.180.000 (1991) a q 415.000 (1995), con una produzione unitaria compresa tra 14,6 q/ha (1990) e 28,0 q/ha (2000); il prezzo è oscillato tra 14 e 20 €/q (attuale 18-19 €/q).

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    La farina

Per legge (Legge 4 luglio 1967 n. 580, DPR. 9 febbraio 2001 n. 187), il termine farina deve essere applicato esclusivamente al prodotto ottenuto dalla macinazione del grano tenero; con semola, invece, si intende il prodotto di macinazione del grano duro. Per altre farine, come quella di mais, è necessario specificare l'origine in etichetta (farina di mais, di avena ecc.).

Le farine di frumento, in generale, sono utilizzate per la panificazione, per la produzione di paste alimentari (all'uovo), di biscotti, di dolci, ecc.

Con la semola si preparano la pasta secca industriale (non a caso sulla confezione è riportata la dicitura "pasta di semola") ed alcuni tipi di pane (come quello di timilie).

La legislazione italiana prevede che la pasta secca debba essere fabbricata solo ed esclusivamente con semola di grano duro. Qualsiasi aggiunta, anche se parziale, di grano tenero costituisce una frode. Non così però in altri Paesi in cui è possibile utilizzare la farina di grano tenero anche per la pasta.

Dalle cariossidi si ricavano anche amido e, previa fermentazione, alcool.

La molitura (macinazione) tradizionale non separava accuratamente tutti i prodotti della macinazione del grano, in particolare non separava le parti oleose e proteiche dai semplici carboidrati (amidi).

La conservazione nel tempo di queste farine era limitata poiché essendo queste ricche in proteine, oli e vitamine, queste ultime parti rischiavano nel tempo di alterarsi ed irrancidire. Quindi il sistema tradizionale ovviava a tale fatto con la molitura del grano in moderate quantità, a preparare solo il prodotto per il consumo a breve o medio termine.

È da dire peraltro che la conservazione in grandi quantità e per tempi molto lunghi delle farine non era una esigenza molto sentita. Il sistema della macinazione era diffuso in ogni città e spesso in ogni villaggio, in ogni mese dell'anno a preparare il necessario per il mese successivo, senza alcun problema. La conservazione in magazzino si faceva facilmente con la materia prima, il frumento in grani, dato che questo si conserva piuttosto bene e quindi resta sempre a disposizione per essere man mano macinato.

Le componenti oleose e proteiche erano però quelle che davano (e danno ancora in alcuni pani tradizionali) aroma e fragranza al pane, fornendo quelle caratteristiche che costituiscono il pane "buono", che non si ritrovano più nel pane corrente.

Con l'attuale tecnologia industriale la separazione di detti componenti è rigorosa. I vantaggi merceologici sono ovvi, sotto forma della aumentata possibilità di conservazione delle farine (che sono quindi composte pressoché totalmente da amido), questo è vantaggioso per i trasporti su lunghe distanze e soprattutto nella possibilità di conservare le farine in condizioni anche non ottimali per tempi molto lunghi, senza avere perdite. Da detti componenti "instabili" (soggetti ad irrancidirsi) si ricava l'olio di frumento, di colore giallo-bruno, utilizzato per preparare prodotti dietetici, oli cosmetici, ecc.

    Il pane

Il pane (dal latino panis ) è un prodotto alimentare ottenuto dalla lievitazione e successiva cottura in forno di un impasto a base di farina di cereali e acqua, confezionato con diverse modalità, arricchito e caratterizzato sovente da ingredienti prettamente regionali.

Ha un posto fondamentale nella tradizione occidentale come componente primaria dell'alimentazione, al punto che il termine stesso può diventare sinonimo di cibo o di nutrimento , non necessariamente fisico. Nella cucina più antica si usava il termine cumpanaticum per indicare ogni preparazione che poteva accompagnarsi al pane, sottolineando il suo ruolo fondamentale.

In Italia la legge ne stabilisce chiaramente le caratteristiche e le eventuali denominazioni con il DPR. n. 502 del 30 novembre 1998 che modifica la Legge n. 580 del 4 luglio 1967.

Il pane era noto all'homo erectus, veniva preparato macinando fra due pietre dei cereali con acqua, cuocendo poi l'impasto su una pietra rovente.

Intorno al 3500 a .C. gli Egizi scoprirono la fermentazione, un impasto lasciato all'aria e cotto il giorno dopo, risultando un pane più soffice e fragrante. Per gli Egizi il pane non era solo una fonte di cibo ma anche di ricchezza. Dall'Egitto l'arte della panificazione passò in Grecia. I greci divennero ottimi panificatori, producevano più di 70 qualità. Inserirono alle ricette basi ingredienti come latte, olio, formaggio, erbe aromatiche e miele. Nel mondo occidentale la maggiore evoluzione delle tecnologie panificatorie si è avuta grazie all'avvento di sistemi industriali moderni di molitura e separazione delle frazioni farinose del frumento,

Il pane però prodotto dalle farine così ottenute non avrebbe elevate qualità, sarebbe insipido e privo di nutrienti pregiati, di fatto costituito solo da amidi impoveriti, quindi è necessaria l'aggiunta di grassi vegetali, grassi animali, maltizzati, ecc. per raggiungere livelli accettabili di caratteristiche organolettiche. Non si ha peraltro certezza sulla natura e qualità di tali ripristini.

Anche le farine "integrali" in commercio non sono affatto integrali, (perlomeno nel senso di costituzione completa del contenuto); sono solo la parte midollare (solo amido) del chicco con aggiunta della crusca (che è la parte legnosa e fibrosa esterna), ottima quest'ultima per la sua non digeribilità e per le note attività di promuovere, come sostanza inerte, la motilità intestinale. Mancano però le parti ricche, quelle corticali, con i minerali, gli oli e le vitamine, gli aromi, ed inoltre le parti del germe, ricco di proteine.

La preziosità di alcuni pani tradizionali regionali è proprio legata a questa differenza rispetto ai prodotti industriali, che non è solo di sapore; è noto che l'abuso di carboidrati raffinati (zuccheri e farine) impoveriti negli altri componenti equilibranti è una delle concause delle malattie glicemiche che costituiscono una importante patologia dell'epoca attuale.

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   Il pane nella tradizione locale (*)

L’antica tradizione di preparare e cuocere il pane in casa è sempre stata presente nelle abitudini alimentari delle genti dell’Etna. Questa pratica, oltremodo necessaria considerata la prevalente economia agricola della popolazione dei paesi etnei, ha determinato la produzione di una tipologia di pane che nel corso degli anni è rimasta immutata e che continua ad essere il principale ingrediente dell’alimentazione umana nel nostro territorio.

Storicamente il pane etneo è composto da semola di grano duro, acqua, sale e lievito naturale; la cottura viene eseguita in forno a legna alimentato con rami di scarto della potatura di vite, olivo o ginestra (i mazzi) che conferiscono al pane una maggiore fragranza olfattiva.

La panificazione domestica era compito squisitamente femminile. Si faceva il pane abitualmente una volta la settimana, il sabato. Quando il marito contadino tornava, dopo una settimana, dalla campagna, trovava il pane caldo e la scacciata. Il pane veniva cotto per tutta la settimana, e conservato in un sacchetto di cotone o avvolto nelle felci per chi lavorava in campagna.

Poi, l’esodo rurale, il progressivo miglioramento delle condizioni economiche dei ceti meno abbienti, l’aggressione pubblicitaria e l’affermazione del modello consumistico hanno cambiato le abitudini e gli stili di vita anche nelle piccole realtà paesane. E posero fine alla panificazione domestica.

Il pane tradizionale è stato, in passato, l’elemento primario nella dieta contadina, compensando spesso la mancanza di altri cibi dovuta alle precarie condizioni economiche. L’attenzione che è da sempre rivolta a questo alimento ha permesso a un prodotto genuino quale è il pane etneo, di restare immutato nella sua preparazione, consentendoci di poterlo ancora gustare, godendone della sua fragranza e della sua bontà.

Ma anche la preparazione del pane era spesso ostacolata dalla difficile reperibilità della farina di grano, per cui i contadini ricorrevano all’uso di cereali come orzo, segale, avena, o all’aggiunta di legumi o castagne.

La pratica più diffusa nelle campagne etnee, ed in particolari in quelle di Nicolosi, era l’aggiunta alla farina di semola della farina di segale (“jmmanu” dial., “Secale cereale” scient.), cereale che veniva abbondantemente coltivato fino ad alta quota in quanto si adattava meglio del grano ai climi asciutti e ventilati.

Oggi la produzione del pane etneo tradizionale si basa principalmente sull’utilizzo di farina di semola prodotta con varietà grano duro siciliano (Amedeo, Mongibello, Sant’Agata, ecc.).

L’aggiunta di lievito naturale è ancora la prerogativa dei panifici artigianali dei paesi del comprensorio etneo. I forni per la cottura sono ancora “a pietra” con alimentazione a legna.

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    Le forme del pane

Le forme del pane possono essere le piu' svariate, e variabili a seconda della zona di produzione. Per il pane tradizionale e pane di semola le forme piu' comuni sono la vastedda, il coccellato, la pagnotta, il filone, mentre per il "pane bianco" si ricordano:

  • il bocconcino: è un piccolo panino da 50 g di forma ovale, morbidissimo (a Catania sono attaccati a due a due e si chiamano gemellini);

  • il semprefresco, come il bocconcino ma panino da gr.100;

  • la scaletta (la pasta a forma di un grosso grissino viene raccolta a zig-zag)

  • la mafalda, mafaldina (come la scaletta ma lo zig-zag viene fermato da un cordone finale poggiato sulla superficie)
  • la signorina (somiglia alla baguette);
  • il parigino (come la signorina ma più tozzo e più piatto);
  • la treccia, torciglione o intrecciato (a tre fili intrecciati):
  • il torcigliato (treccia a due fili), può avere un profondo taglio per tutta la lunghezza che lo rende spigoloso
  • il pizziato (è un parigino con molti tagli a scacchiera, pieno di punte (pizzi));
  • la baguette o baghetta è un particolare tipo di pane distinto dalla sua forma molto allungata, e dalla sua crosta croccante;

 

ciambella

Ciambella

Vastedda

Coccellato

Vastedda

Pane bianco

Mafalda e ferro di cavallo

Baghette

Pagnotta di irmanu

La mafalda è la forma di pane che rientra nella categoria indicata con il nome di “pane bianco” o “pane a birra”, intendendo i prodotti ottenuti con farina di grano tenero e lievito di birra.

Le mafalde e i ferri di cavallo sono tra i formati più comuni e diffusi in quasi tutta la Sicilia.

La lavorazione consiste nello sciogliere il lievito di birra in acqua tiepida incorporandolo alla farina di grano tenero, cui si aggiunge l'olio e il sale. Si impasta e si lascia fermentare. Per formare la mafalda dalla pasta si ottengono dei lunghi cilindri che si ripiegano su se stessi per quattro volte fino ad ottenere una scaletta e ponendo la parte finale del cilindro longitudinalmente sulla sca­letta. Si inumidisce la superficie con acqua cospargendola con semi di sesamo che conferisce gusto e aroma inconfondibili. Si inforna, dopo un'ulteriore lievitazione in luogo caldo per almeno due ore.

È un pane soffice caratterizzato dalla crosta dorata e poco spessa e la mollica bianca e com­patta dal delicato e caratteristico sapore di semi di sesamo.

Oltre che essere gustata a tavola, la mafalda è ottima consumata tiepida imbottita con fette di mortadella, oppure con olive nere condite.

Il ferro di cavallo si ottiene piegando le estremità del cilindro di pasta a metà fino al centro e poi di nuovo a metà fino ad unire le quattro parti. Dopo la cottura la particolare struttura a coste rende questa forma di pane il più tradizionale e comodo accompagnamento da intingere nella granita da consumare a colazione.(*)

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Pane di Timilie

Un esempio di pane diffuso in tutta l’isola era quello nero di “Timilia”.

La Timilia o Tumminia come viene chiamata in dialetto, è una "antica" varietà di grano duro tipica siciliana, molto diffusa fino alla metà del secolo scorso, prima di essere quasi completamente sostituita con altre varietà più produttive.

Il termine "timilia" significa trimestrale, con riferimento al ciclo vegetativo che si conclude in tre mesi, dalla semina alla raccolta.

Questa varietà rivestiva una notevole importanza negli ordinamenti colturali cerealicoli, in quanto era l’unico frumento la cui semina si poteva spostare fino alla prima settimana di marzo. Succedeva infatti che nelle annate molto piovose, in cui non era possibile seminare per tempo, chi aveva una buona scorta di Timilia poteva aspettare che il terreno si fosse asciugato quel tanto da permettere un minimo di lavorazione del terreno e quindi la semina.
Questa pianta, dall’aspetto gentile alta poco più di un metro, si presenta esile ed elastica con una spiga fusiforme, sia nel profilo che nella faccia, lunga e sottile; è una spiga caratteristica che difficilmente può essere scambiata per un’altra varietà.
Il pane che veniva prodotto aveva un sapore più dolce e una colorazione bruna (da qui pane nero) simile al pane di segale che in alcune aree siciliane era classificato come pane d’eccellenza, perché ritenuto più nutritivo, questo pane, infatti, veniva dato agli ammalati in fase di convalescenza e agli animali malati o debilitati, in altre aree era considerato un pane da ripiego a causa della colorazione bruna poco accattivante. Altrettanto pregiata è la pasta fresca fatta con questa varietà; anche se l’aspetto, al solito l’impasto tende al bruno, non è attraente di contro il sapore è particolarmente dolce.
In recenti studi, si è provato che la presenza elevata di fibre insolubili interne alla cariosside, unitamente al basso contenuto di glutine dell’impasto, rendono questi alimenti d’eccellenza per le intrinseche qualità salutistiche ed organolettiche. Pani di Timilia tutt’oggi in produzione sono quello nero di Castelvetrano che viene prodotto con una percentuale di Timilia intorno al 20%. Per dette caratteristiche qualitative in diverse zone si preparano, anche se in modeste quantità, prodotti con semole in purezza di
Timilia

In questi ultimi anni, è stata ripresa anche la coltivazione dell’antico grano duro  Russello, con il quale si fa il classico pane a pasta dura, con poca acqua, che dura molti giorni, la cui principale caratteristica è quella di essere molto digeribile.

 

Nonostante i vantaggi che si hanno dall’uso di tali prodotti (pane e pasta), i loro consumi sono piuttosto modesti, stante che nella formazione del prezzo incidono: le basse produzione di grano (15-18 Q.li/ha, contro 40-50 Q.li/ha delle nuove varietà), la necessità di effettuare la molitura per mezzo di antiche macine a pietra che, seguendo il metodo tradizionale, lavorano il grano a basso regime di giri e non surriscaldano il prodotto durante la rottura delle cariossidi, mantenendo inalterate le caratteristiche organolettiche e nutrizionali; la limitata conservabilità delle semole (massimo 3-4 mesi, a fronte di 6-8 mesi delle altre farine); ecc. 

 Frumento e pane di irmanu (*)

Tra le attività pratiche, nel recente passato, nelle aree agricole dell’Etna (a muntagna), troviamo anche quella della cerealicoltura che era praticata prevalentemente a titolo familiare, senza trascurare l’esistenza anche di un modesto mercato.

Si fa riferimento alla coltivazione della segale (jrmanu), mais, orzo, praticate fino alla fine degli anni ’50 del secolo scorso, ponendo il nostro territorio tra le poche realtà isolane che tradizionalmente praticavano la cerealicoltura di montagna.

A dimostrare quanto sia stata forte la presenza di alcuni cereali nella vita quotidiana del popolo etneo, vi è ancora la memoria di tante persone che hanno vivi i ricordi del loro utilizzo e consumo.

Proprio da tali ricordi è iniziata una recente ricerca, procedendo a ritroso nel tempo, per documentare usi e abitudini alimentari sulla segale (Secale cereale), presente sull’Etna da almeno un millennio, sin dall’arrivo dei primi monaci benedettini che la portarono dalla Germania (jrmanu = germanico).

Pane di necessità ma anche di piacevolezza al gusto, come ricordano oggi i tanti anziani che hanno vissuto gli anni in cui era di uso quotidiano. Ma il ricordo più forte è legato all’ultimo conflitto, quando si sopperiva alla mancanza assoluta di frumento con la segale coltivata sull’Etna anche oltre quota 1.600 m., anche perché si adattava meglio del grano ai climi asciutti e ventilati.

Attualmente, grazie al sostegno del Comune di Nicolosi e del Parco dell’Etna, è in corso un tentativo di reintroduzione della coltivazione di questo cereale, grazie al recupero di una modestissima quantità di sementa, fornita da qualche contadino che ha tenacemente continuato a coltivarlo, tenuto conto anche del grande interesse che il pane di jrmanu suscitata durante le manifestazioni dedicate al pane.

(*) Parti realizzati in collaborazione con Alfio Rapisarda.

Pane di timilie

 Struttura del pane di timilie

Pane di timilie

Struttura interna del pane di timilie

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