Torna a Agricoltura

 Produzioni 

  Biografia

Curiosità  

Contatti 

 Links 

Album foto  

 

                    Il Castagno                           

Il castagno, Castanea sativa, è un albero deciduo, alto fino a 30 m, con chioma espansa e rotondeggiante. In condizioni normali sviluppa un grosso fusto colonnare, con corteccia liscia, lucida, di colore grigio-brunastro, che con il passare degli anni si screpola longitudinalmente.

Le foglie sono alterne, semplici, intere, grandi e coriacee, oblungo-lanceolate (fino a cm. 20), acuminate all'apice, con margine dentato, color verde intenso nella pagina superiore, più chiare in quella inferiore, munite di un lungo picciolo.

I fiori sono unisessuali, piccoli e poco appariscenti. I fiori maschili, con perianzio di 5-6 sepali giallastri e 8-15 stami, sono riuniti in amenti eretti, lunghi 5-15 cm, formati da glomeruli di fiori giallastri avvolti da brattee e bratteole; i fiori femminili con perianzio dentato apicalmente aderente all'ovario, sono avvolti da un involucro di brattee saldate tra loro (cupola) che si accresce nel frutto.

I frutti sono acheni (detti castagne) racchiusi, in numero di 1-3, nella cupola (riccio, che a maturità si apre dividendosi in quattro valve); il pericarpo è coriaceo, color marrone (con striature più o meno marcate), lucido esternamente, peloso all'interno; ciascun frutto contiene un solo seme con cotiledoni molto voluminosi, ricchi di amido, che costituiscono la parte edule. La forma è più o meno globosa, con un lato appiattito, detto pancia, e uno convesso, detto dorso. Il polo apicale termina in un piccolo prolungamento frangiato, detto torcia, mentre il polo prossimale, detto ilo, si presenta leggermente appiattito e di colore grigiastro.

Il castagno in passato veniva largamente coltivato per il legname e per i gustosi semi che in passato hanno rappresentato una importante risorsa alimentare per le popolazioni rurali delle zone montane, in quanto le castagne erano utilizzate soprattutto per la produzione di farina.

 
 

 

Negli ultimi tempi la sua importanza economica ha subito un drastico ridimensionamento a causa anche degli attacchi parassitari, come il "cancro corticale" (Endothia parasitica) e il "mal dell'inchiostro" (Phytophthora cambivora) che inesorabilmente causano la morte della pianta, ciò ha reso necessaria la sostituzione con altre specie resistenti di origine asiatica.Il castagno lo ritroviamo sull’Etna nella fascia, tra i 1000 e i 2000 metri di quota, che è caratterizzata da una vegetazione in cui prevalgono oltre i castagneti, i boschi di querce caducifoglie, le pinete e, a quote più elevate, le faggete che, al di sopra dei 2000 metri, lasciano il posto ai colorati pulvini dell’Astragalo dell’Etna (Astragalus siculus Biv.), specie endemica etnea.

Sull'Etna sono presenti alcuni esemplari di notevoli dimensioni; fra questi citiamo il Castagno dei Cento Cavalli e il Castagno la Nave (chiamato anche Castagno S. Agata o Arrusbigghiasonnu).

Il Castagno dei Cento Cavalli, situato nei pressi di S. Alfio, rappresenta una delle più belle realtà naturalistiche della provincia di Catania, famoso nel mondo per la sua età o per le sue dimensioni.

Il suo nome si deve all’avventurosa regina Giovanna I d’Angiò (che, in verità, non fu mai in Sicilia). Secondo una leggenda, durante una battuta di caccia sull’Etna, venne sorpresa da un tremendo temporale e che trovò rifugio, con tutto il suo numeroso seguito costituito da cento cavalieri, proprio sotto il gigantesco castagno.

L’albero è costituito da tre grandi fusti che misurano rispettivamente 12, 20 e 22 metri di circonferenza, i quali sarebbero i resti del tronco preesistente. La possibilità che potesse trattarsi di un unico albero, tuttavia venne messa in discussione dai tanti viaggiatori che passavano da lì; tra questi ricordiamo Brydone e Riedesel. Il canonico Giuseppe Recupero, facendo scavare attorno all’albero, confermò che si trattava di unica pianta; i vari rami erano uniti laddove la terra li ricopriva. Il primo studio scientifico del gigantesco castagno viene effettuato dal botanico palermitano Filippo Parlatore (1816-1877). Questi attribuì all’albero etneo “presuntivamente” l’età di quattromila anni. Una recente appropriata analisi genetica, con ricerca dendrocronologia, ha fissato l’età in non meno di 2000 anni. 

   

 
 
Torna a inizio