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Pupari (impresari, manianti, parraturi), che hanno operato in provincia di Catania (Nota Bene) 

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Failla Salvatore

(1910?-1995?) Puparu in Caltagirone alla metà del 1900.

Farfante Vincenzo

(1934) Costruttore di pupi a Catania, dal 1973. Ha costruito oltre 100 pupi di altezze da 60 a 120 cm., lavora con un solo braccio, avendo perso quello destro da bambino sotto un tram.

Faro Salvatore

(u lumaru). Impresario, costruttore di pupi, cartellonista e paraturi nel teatro dei fratelli Laudani e di altri. Gestì da solo o con altri (tra cui Salvatore Laudani) alcuni teatri a Catania (Via Carlo Forlanini), Grammichele, Ramacca, ecc.  Alla sua morte, il figlio Ciccino, continua l’attività nella bottega di Via Acquicella e nel 1974-75, cede in regalo il mestiere dei pupi a Salvo Mangano, per trasferirsi in Canada.

Finestrella Gino Operò a Riposto nel periodo post bellico. Intorno al 1960, va a gestire il teatro di Milio Musmeci.

Foti Biagio

(Ginu). Inizia lavorando a Catania con i fratelli Laudani, di cui è nipote. Costruttore di pupi e maniante in molte compagnie catanesi. I suoi pupi sono considerati tra i più belli in assoluto. Possiede un mestiere con oltre 100 pupi. Costruisce sia i pupi classici catanesi, che quelli da 90 cm. E' anche un abilissimo scultore di chiavi di carretto.

Gargallo Giuseppe

e Vincenzo. Operavano a Catania tra la fine dell'Ottocento e gli inizi del Novecento.

Gargano Venerando

(1811 - ?) Verso il 1840 inizia la sua attività ad Acireale, dove era siggiaru (fabbricante di sedie). Il primo teatro ubicato nella sede della fabbrica di sedie, con pupi, da lui costruiti, da 160 cm. Successivamente di Acireale diviene anche Sindaco. Ha buoni rapporti con i grandi pupari dell'epoca (Crimi-Grasso-Cantone), e con essi si scambia anche i testi delle rappresentazioni.

Gargano Rosario

Figlio di Venerando (1863 - 1942), è allievo di Angelo Grasso, nel cui teatro "parla" i pupi saraceni. Nel 1880 ad Acireale apre il Teatro delle Marionette, rappresentando il suo capolavoro, Belisario da Messana. Sposa Silvestra, figlia del barone Musumeci, che gli da ancora maggiore notorietà. Cosi apre un secondo teatro a Caltagirone, attivo fino al 1911. Nel 1912, invitato dal puparo don Ninì Calabrese, si trasferisce a Messina, dove apre il Teatro nuovo Messina, in via Porta Imperiale. Ma mantiene aperto il teatro di Acireale. Assieme a Calabrese realizza magnifici pupi da 130 cm. e quando i due si divideranno, anche i pupi verranno divisi. Oltre a questi due teatri don Rosario, ne apre un terzo ad Acicatena nel 1919. Dal 1920, separatosi da don Ninì, apre un nuovo teatro, Nuovo Messina in località Camaro. Quindi comincia a lavorare con il figlio Venerando. Ma nel 1935, per motivi di salute, don Rosario si ritira nella natia Acireale.

 

L'opera dei Gargano prosegue con Venerando (1905-1978), che pur mantenendo l’attività di Messina, apre nel 1931 un teatro a Giarre. Nel 1938 apre il grande teatro S. Marta. Dà personalmente la voce a tutti i suoi pupi, anche ai personaggi femminili. Nel 1956 apre un nuovo teatro a Camaro Inferiore, sotto il ponte dell'autostrada. Negli anni Cinquanta, durante il ferragosto messinese, si esibisce sul palco dei dodicimila in piazza Municipio, dove rappresenta lo spettacolo di La pazzia di Orlando, davanti a oltre 12.000 spettatori, evento rimasto nella storia dell'Opra.

 

Dal 1960 nel teatro Arena Gargano di viale Giostra, inizia la collaborazione del figlio Rosario (Maestro, 1933-2000). Il 20 luglio 1964 il teatro va in fiamme, per cause non ben accertate (addirittura si disse che furono i fantasmi), ed il lavoro di tre generazioni di pupari va in fumo: oltre 100 pupi (su 140), documenti, scene (alcune del Vasta), cartelloni e testi vengono distrutti. La ripresa è difficilissima, il teatro dei Gargano diventa nomade. Rosario è bravo, ma i tempi sono cambiati. Pur  vincendo diversi primi premi nel 1978-79, si vede costretto a passare dai pupi da 130 a quelli da 65 cm.

 

Nel 1995 fa il suo esordio la quinta generazione dei pupari Gargano, con il giovane Venerando (1971), collaborato dai fratelli Giorgio e Rosaria. Già dal 1985 è sullo scannappoggio a maniari i pupi di famiglia, e impara tutta l'arte di un vecchio puparo, porta in giro il proprio teatro sia in Sicilia che in Calabria ed in altre parti d'Italia. In accordo con l'Università di Messina, sta cercando di aprire un laboratorio per la costruzione dei pupi e sta fondando l'Associazione dei pupi messinesi, in memoria di Rosario Gargano.

Gatto Antonino

(Ninu) Lavorava a Catania nel quartiere di Picanello, nella metà del Novecento. Di mestiere faceva 'u cardaturi (cardava la lana), maniante nella compagnia dei fratelli Napoli, costruttore di pupi e maestro di Franco Salamanca.

Grasso Giovanni (don)

(1792-1863) “u piddaru”. (Vedi albero genealogico di Giovanni Grasso). Sulla vera origine di questa famiglia esistono due storie diverse. La prima, attribuita allo scrittore Nino Martoglio, racconta che Giovanni Grasso, un commerciante di stoffe di Acicatena (pannaru, venditore di panni, nastri e fettucce), venuto a Catania, durante una sosta alla Civita assistette ad uno spettacolo ambulante napoletano e si entusiasmò a tal punto da decidere di aprire un suo teatro, intorno al 1850, dopo avere collaborato nel teatro di Gaetano Crimi. La seconda narra che egli, essendo dovuto riparare a Napoli per sfuggire alla polizia, che lo aveva sorpreso a largo di Acitrezza, con un carico di merce di contrabbando, si fosse messo a lavorare, nella città partenopea, al teatro Stella Cerere. Dopo lo sbarco di Garibaldi, comprò le marionette a Napoli e venne a Catania, dove impiantò il suo primo teatro “l’Opra di don Giovanni”, Via Garibaldi, angolo piazza Mazzini, mettendo in scena la sensazionale “Storia d’Orlando” (12/09/1861). Si dice che a Don Giovanni spetta l’onore della costruzione di un congegno per far muovere ai pupi non solo gambe e braccia ma anche occhi e bocca. La tradizione lo fa morire folle, nel 1863, nel tentativo di rendere i suoi pupi sempre più perfetti e animati. La sua opera fu continuata da due dei sette figli: Giovanni e Angelo.

Grasso Giovanni

(1817-1887) Dopo la morte del padre (don Giovanni), non andando d'accordo con il fratello Angelo, si trasferì nel 1863 a Messina, si sposò e, collaborato da don Salvatore 'u jacitanu, aprì il teatro Ariosto, lavorando con alterne fortune e venendo 'ntisu don Giuvanni u foddi (il folle). Tornato a Catania nel 1875, aprì il suo Teatro popolare nella vanedda Mancuso (poi via Spadaro Grassi). Don Giovanni è manianti, parlatori e parlatrici i figli Pasquale, Peppino, Orazio e Marietta. Dal 1879 al 1882 alterna all’opira la rappresentazione di commedie dialettali. Il figlio Pasquale (1848-1930) si mette in proprio nel 1878 e inaugura l’Arena Minerva (strada delle fosse, oggi Via S.Euplio), mette in scena Hernani e per parlare ai pupi donne fa venire una parlatrice milanese. La gestione è disastrosa e nell’ottobre dello stesso anno apre il teatrino “Minerva” (Via S. Giuseppe angolo Via S. Francesco). Nell’agosto del 1879, a seguito fallimento i pupi furono pignorati e venduti all’incanto. Nel 1888 entra nel decaduto San Carlino per rifarsi con l’Opira, ma un incendio distrusse ogni cosa (agosto 1889). Riapre quasi subito il teatrino delle Varietà con scarso successo. Marietta, lascia Catania e si trasferisce a Boston (U.S.A.), per  impiantare un’opera dei pupi, dove  muore nel 1899.Giuseppe, Don Peppino (1855-1935?), figlio di Giovanni, nel 1912, a ridosso della Prima guerra Mondiale, si trasferisce a Messina dove apre il teatro Nuovo di Via Porta Imperiale assieme a don Rosario Gargano e don Ninì Calabrese (i cui pupi, tra i più belli del tempo, dopo qualche decennio dalla demolizione del teatro, finirono in parte al museo di Randazzo). Orazio (1861-1930), figlio di secondo letto di Giovanni, nel 1888 aprì un teatrino in Via Gagliani, che gestì solo per due anni.Giovanni, il figlio di Pasquale, si trasferisce a Parigi per impiantare un’opera dei pupi. 

Grasso Angelo

(1834-1888), figlio di don Giovanni, sposa Natalina Nicolosi (cugina e figlia di donna Santa Grasso), abbandona il mestiere di sellaio e apre un teatro presso il monastero di S. Agata (1853). Apre poi numerosi altri teatri  (via San Crispino, via della Lettera, via S. Maria del Rosario, via Cestai) e sistemarsi nel 1861 in una cantina del Palazzo Sangiuliano (via Ogninella, oggi Euplio Reina). Quest’ultimo chiamato “Opira di Don Angelo”, diventa il famoso “Teatro Machiavelli” (1864). Dal 1859 al 1880, provò in diverse riprese a fare spettacoli con pupi in carne, con scarso successo, anche perché i personaggi non avevano alcuna esperienza teatrale. I suoi pupi avevano un alto grado di perfezione: muovere gli occhi, fumare, sanguinare e aprirsi ai colpi di spada. A lui è attribuita la frase "Orlando cu 'n coppu di durlindana ammazza chiù di cinquanta saracini", alla quale dalla sala fece eco "Rossa è, don Angilu". Anche Don Angelo, visto il successo del Crimi, decise di sostituire alle marionette personaggi viventi (1880 e forse anche prima) riservando a se stesso l’armatura di Carlo Magno. Suoi cavalli di battaglia furono la Cavalleria rusticana di Verga (1884) e la Storia di Erminio della stella d'oro (1887). Manianti fu anche Francesco Vasta. Parlatori e parlatrici quasi sicuramente furono i figli Crioli e Santa (1856-1932), Giovanni e Marietta; non la seconda moglie Francesca Tudisco e il figlio Domenico (Micio, 1884-1935) perché troppo piccolo..

 

Il figlio di Angelo, Gregorio, don Crioli (1857-1936), lavorò da piccolo al teatro Machiavelli, ereditando dal padre l’arte di sbalzare l’ottone per le armature dei pupi e la raffinatezza nel vestirli. Dopo essersi sposato, nel 1890 rileva il teatro Parnaso (aperto molti anni prima dalla famiglia Crimi), che chiama Teatro Sicilia, ubicato in via Leonardi 30, ove collabora anche Ciccio Rasura. Dal 1893 unisce all’Opira una programmazione mista, con farse ed esibizioni di canzonettisti. Il teatro Sicilia era tra i più eleganti e puliti della città. Lavora fino al 1922.

Pasquale (figlio di Angelo), si mette in proprio e nel 1878 inaugura l’Arena Minerva.

Giovanni, Marietta e Micio con la madre (donna Ciccia), dopo un periodo di sospensione, nel 1891 riprendono l’attività al Machiavelli.  

Grasso Giovanni

(1873-1930), figlio di don Angelo (avuto con la seconda moglie Ciccia Tudisco, pupara), dopo avere fatto il puparo ad Acireale, e dopo avere collaborato con la famiglia, prende in mano, fino al 1899, la gestione del teatro Machiavelli, alternando l’Opera dei Pupi con spettacoli di prosa, dove si esibì anche Angelo Musco. Nel 1902 abbandonò i pupi e divenne il più grande attore tragico del teatro siciliano, da far dire che il teatro dialettale siciliano nacque con lui. L'incendio del teatro Machiavelli (1903), distrusse quasi tutte le scene, quinte, attrezzature e buona parte dei pupi di don Angelo Grasso. I pupi rimasti furono ceduti a Cantone Giovanni. Il teatro viene ricostruito e resta attivo fino al 1920.

Grasso Turi

(1933). Nel 1948 comincia a frequentare ad Acireale, il teatro di via Alessi, gestito da don Emanuele Macrì, dove impara l'arte e agisce da maniante. Nel 1958 lascia il teatro di Macrì e si mette in proprio, aiutato dalla moglie Venera, che agisce da costumista. Nel 1963 presenta il suo primo spettacolo, e da allora non si è più fermato. Oggi ha il teatro-museo in via Nazionale 195 a Capomulini, dove conserva ed espone i suoi pupi più vecchi, oltre a scene e cartelloni da lui dipinti. Con lui collabora la moglie  Fichera Venera e i figli Tano e Pippo. I suoi pupi sono di stile catanese. Per qualche anno ha operato anche nel teatro di Via Alessi ad Acireale.

Innesi Michele

Opera da puparo in Catania, tra la fine dell'Ottocento e i primi anni del Novecento. Si hanno di lui scarsissime notizie.

Insanguine Michele  

(1831-1887). Nato a Napoli, si trasferì a Catania intorno al 1878. Fu attore oltre che puparo. Viene scritturato da Donna Ciccia Grasso, vedova del puparo Angelo Grasso, per il teatro Machiavelli, dove si alternano spettacoli con i pupi a spettacoli con attori (tra i quali Angelo Musco, 1884). Ricordato per la sua abilità nel dare ai suoi pupi una sorta di umanità ed una teatralità degna dei grandi attori.

Il figlio Michele jr. (1860?-   ). Dopo una breve esperienza da attore drammatico assieme al fratello Giuseppe, fondò nel 1883 il teatro Genio, dove lavorarono anche Clementina Crimi e Matilde Galiani, compagna del padre. Nel 1891 il teatro Genio, ubicato in via Abate Ferrara, fu venduto all'impresario Salvatore Centofanti, che lo denominò teatro "Garibaldi". Fu maestro di don Giovanni Grasso.

L'altro figlio Peppino (1862?-1908). Dopo avere sposato Filadelfia Leocata, da cui ebbe 5 figli, operò nel quartiere di San Cristoforo a Catania, nel teatro dedicato ai Savoia, che, dopo la sua morte, fu venduto con i pupi e le attrezzature.

Insanguine Antonino

(1898-1985, don Nino), figlio di don Peppino, fonda assieme al cugino Michele jr un teatro di attori in via Grassi e, come quello del padre, lo chiama Savoia. Poi apre il suo primo teatro dei pupi, nel 1925. Nel 1931 vince il primo premio, ex-equo con la compagnia di Giuseppe Napoli, nella disfida regionale dei pupi siciliani, organizzata dal Dopolavoro di Catania. Nasce allora il forte antagonismo, con la famiglia Napoli, che durerà fino alla fine, e di cui ancor oggi si avvertono gli strascichi. I suoi teatri hanno solo due nomi: Savoia e Garibaldi, ed egli si sposta nelle vie Grassi, Prinzi, Ventimiglia, Maddem, Tipografo. Costruisce tutto da se, dai pupi, ai cartelloni e alle scene, scrivendo anche numerosi copioni, che registra presso la SIAE. Impara l'uso del tamburo da don Raffaele Trombetta. Nel 1932 va a Tripoli dove si esibisce nei teatri Politeama e Orientale, con la sua Compagnia Marionettistica Italiana. Nel 1937 lo troviamo a Vizzini. Poi porta il suo Teatro dei Pupi a Roma, Bologna, Mantova, ed anche in televisione. Chiude il suo teatro di via Tipografo a Catania nel 1960, ma non smette la sua azione. Nel 1968 fa un memorabile spettacolo al teatro Metropolitan di Catania. I suoi pupi sono inconfondibili, hanno corporature massicce, visi larghi e solari, e spesso hanno delle pietre semipreziose incastonate nelle armature. Il suo Erminio dalla stella d'oro, è esposto nel Museo dei Pupi di Acireale. Nessuno dei figli, su suo espresso desiderio, lo segue nella sua arte. Gran parte dei materiali e dei documenti di don Nino Insanguine, sono esposti in Via San Giuseppe al Duomo 26, Catania, Museo della Marionettistica di Nino Insanguine.

Insanguine Nunziata

Sorella di Nino, moglie di Turi Cifalà. Opera da pupara intorno agli anni ‘30, nel teatro Stella di Via Landolina. Poi si spostò nei locali di Via Piombai, usando i pupi fabbricati dal fratello Nino e da Nunzio Buccheri. I vestiti e i mantelli venivano cuciti dalla stessa. Cessò l’attività quando i locali furono distrutti dai bombardamenti (1945).

Isaja Antonio Nel 1877 gestiva il teatrino di Vico Sant’Antonio Abate (oggi Via Sapuppo), che ebbe breve durata.

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Nota Bene. Parte delle notizie sopra riportate, con modifiche e integrazioni, sono state tratte dal libro "L'opera dei pupi in Sicilia" di Gianni Arcidiacono, Fondazione Culturale "Salvatore Sciascia", 2008. Altre da: "Archivio per la storia delle donne", Volume 2, Di Adriana Valerio, Auria Editore s.a.s., 2005; "NOI PUPARI" di Maria Antonietta Maiuri, 2006; Enciclopedia dei teatri e degli spettacoli a Catania nell'Ottocento di Vincenzo Privitera, Centro culturale siciliano, 2001.

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